Relazione presentata al Convegno Regione Emilia Romagna su “Consumo di suolo e rigenerazione urbana: un primo bilancio della L.R. 24/2017”, Bologna 28 novembre 2023, Aula Absidale UNIBO
Questione annosa
La questione delle previsioni insediative che si trascinano di piano in piano e che indichiamo sinteticamente come “pregresso” o “residuo”, ha cominciato a porsi tra gli urbanisti già negli anni ’60 del Novecento, a valle del boom economico e della grande espansione urbana, quando ci si accorse che il sovradimensionamento dei piani di quella stagione agiva da ratifica delle spinte provenienti dal mercato immobiliare e, nello stesso tempo, da incentivo delle stesse, compromettendo le scelte future. Allora si affermò tra i riformisti la politica delle “minime previsioni”.
Per il discorso che intendo fare, però, mi è utile richiamare gli argomenti mossi da Luigi Mazza commentando il Preliminare del Prg di Reggio Emilia elaborato sotto la guida di Giuseppe Campos Venuti nel 1994, in un articolo comparso su Urbanistica 103 del 1995 dal significativo titolo: L’Insostenibile peso dell’offerta residua. In quell’articolo, infatti, Mazza non solo sottolineava i condizionamenti del residuo sulle scelte dei piani, ma auspicava una forma di piano che non contemplasse più la previsione, un piano diverso da quello ‘di tradizione’. Questo richiamo stabilisce il legame col presente e aiuta a entrare nel merito della nuova situazione che si è creata in questa regione.
Il nuovo e gli indizi
In un quadro generale dell’urbanistica, che io leggo come ‘mutazione’ di principi, tecniche e competenze e non di semplice transizione, il merito principale della legge 24/2017 è stato a mio avviso proprio quello di istituire un piano unico che non attribuisce più i diritti edificatori e che si esprime in termini strategici, tracciando così una linea di demarcazione, a livello di principio, rispetto al passato. L’urbanistica è una ‘derivata’ per cui occorre confrontarsi con la metamorfosi in atto. I legislatori emiliano-romagnoli, per molti versi criticati, a me sono parsi coraggiosi laddove hanno preso di petto la necessità di dotarsi di strumenti ‘flessibili’ idonei a trattare l’incertezza che è la cifra dominante del nostro tempo. La legge ha dunque sancito una discontinuità rispetto al precedente modo di fare urbanistica e ha risposto all’”annoso” problema dell’Insostenibile peso dell’offerta residua. La nuova forma di piano è concepita in modo tale che d’ora in poi la questione non si riproponga. Ma la legge ha anche dovuto definire il che fare delle previsioni contenute nei piani vigenti precisando alcuni criteri cui riferirsi per decidere quando ci sia un effettivo diritto pregresso (la presenza di una convenzione, ovvero di un contratto firmato, solitamente accompagnato da fidejussioni). Quindi si è creata una situazione nuova: quel che ieri non si riusciva a fare: cancellare il pregresso, oggi a certe condizioni si deve fare. E’ l’avvio di una nuova stagione le cui dinamiche al momento abbiamo potuto intravvedere solo attraverso le poche (ancorché significative) esperienze dei PUG realizzati e che di fatto comincerà con la fine del periodo transitorio che la pandemia ha allungato. Ma 5 anni sono tanti nella situazione estremamente fluida che conosciamo e alcuni presupporti della legge possono non essere più gli stessi. Importante dunque ‘studiare’ gli indizi che arrivano dai territori.
La ricerca sui presupposti della legge
La ricerca promossa dalla Regione affronta la questione delle previsioni insediative legandola al consumo di suolo e chiude con la rigenerazione, in quanto la legge ha tra i suoi obiettivi ridurre il consumo di suolo fino ad azzerarlo nel 2050 e indica la rigenerazione come obiettivo per il governo del territorio. Il ragionamento sottostante la legge è il seguente: il consumo di suolo è oggi il problema principale, le previsioni insediative ne sono responsabili, in particolare quelle residenziali contenute nei piani vigenti che hanno caratterizzato a lungo il mercato immobiliare, per questo occorre chiudere i conti con il passato. Di qui l’individuazione dei meccanismi e delle procedure ritenuti adatti allo scopo di ‘togliersi il peso’ (se vogliamo usare l’espressione di Mazza). La ricerca, coerentemente, fotografa la situazione (riprendendo la buona abitudine dei mosaici dei piani), e fa delle proiezioni al 2050 per verificarne l’efficacia dei meccanismi legislativi rispetto all’obiettivo perseguito. Ne emergono primi risultati complessivamente rassicuranti, ma che pongono anche alcune domande importanti:
1. Perché così pochi PUG?
2. E’ stata davvero messa una pietra sopra le previsioni pregresse?
3. La rigenerazione, per come procede, in che modo è una risposta al consumo di suolo?
Farò alcune ipotesi sulle prime due.
Motivi di resistenza
La prima domanda riguarda la mancata solerzia dei Comuni: apprendiamo che solo il 6% si è finora dotato di un PUG.
Certo la pandemia ha rallentato, certo per molti Comuni la predisposizione di un nuovo piano è un onere che gli incentivi probabilmente non compensano, poi mettersi d’accordo per costituire Unioni (caldeggiate dalla Regione) incontra difficoltà rilevanti di tipo politico e organizzativo, ma è lecito supporre che sulla lentezza ad adeguarsi incida la gestione dell’eredità e in particolare del pregresso, perché ci sono: – implicazioni politiche (scompiglio nel sistema degli interessi) – implicazioni giuridiche (ricorsi effettivi e minacciati) – implicazioni economiche (va in crisi la possibilità di usare le previsioni come garanzia per ottenere un credito bancario, come modo per alzare il prezzo nelle compravendite, come fattore di riequilibrio nei bilanci aziendali …) – implicazioni tecniche (l’adeguamento comporta un impegno di innovazione rilevante). E’ intervenuta una novità che mette in gioco culture politiche e tecniche, consuetudini e mentalità, che richiede grande capacità nel gestire l’eredità e che accentua le differenze e le responsabilità locali, anche quelle professionali. A me sembra che la resistenza a prendere di petto le previsioni insediative pregresse (formalmente decadute, ma in molti casi solo dormienti), operazione necessaria per il tracciamento del perimetro del Territorio urbanizzato che il PUG richiede e sulla base del quale stabilisce le regole, abbia motivazioni composite. Oltre alle ragioni politiche e giuridiche – certamente forti- che rendono lento e difficile l’azzeramento, intervengono anche motivi che definirei ‘culturali’ in senso lato, che contribuiscono a rendere la transizione vischiosa (variamente vischiosa nelle diverse situazioni) e che richiederanno tempo. Dovrà affermarsi una diversa idea del piano e una adeguata traduzione tecnica, a cominciare dai modi per disegnarlo e scrivere le norme (non si riflette mai abbastanza sul potere, anche maligno, dei disegni e della disciplina). Il pregresso è un convincimento, prima ancora di un diritto acquisito, è una resistenza al coacervo legislativo e normativo, è connesso al convincimento che ‘tutto cambia perché nulla cambi’ così radicato nella cultura di questo paese. Il pregresso è ‘memoria’ di ipotesi coltivate delle quali si resta convinti o che non si vuole ridiscutere.
I procedimenti per la transizione
L’avvio del lavoro per il PUG di Modena, assunto come caso sperimentale della nuova legge, è stato accompagnato da un’azione significativa sul pregresso. Attenendosi (e supportata dalle indicazioni della legge) l’Amministrazione ha fatto due mosse:
– 1. vagliare un vasto materiale documentario dai contorni giuridici non sempre certi (problema che in ogni amministrazione assume contorni quantitativi e qualitativi differenti) selezionando le situazioni che meritavano approfondimento (ben 178);
– 2. procedere con un bando per scandagliare la sopravvivenza degli interessi di proprietari e operatori e l’eventuale qualità delle proposte da ri-formulare (in base a requisiti imposti nel bando stesso).
In poche parole: mettere preliminarmente ordine dal punto di vista giuridico e tecnico, ancor prima che politico, essendo questo compito, anche politico, affidato alla valutazione delle risposte al bando. La situazione modenese, dove il confine tra decaduto, avviato e approvato, convenzionato non era certo, probabilmente non è isolata, anzi, per questo ritengo sia necessario mettere in conto iniziative simili per acquisire preliminarmente ‘certezze’, che è poi modo per affrancarsi in trasparenza dal sistema precedente e, forse, promuovere un confronto sul futuro dei territori e preparare il terreno ad accordi operativi di altra natura. Intendo dire che non deve lasciare tranquilli la constatazione che il 70% circa delle previsioni insediative rilevate nei 226 Comuni sono decadute per la fine del periodo transitorio, che quelle convenzionate precedenti il 1° gennaio 2018 sono solo il 18%, che un altro 12% è incerto in quanto costituito da previsioni avviate e approvate. Questo 30% va comunque preso in carico. Certamente parte consistente del pregresso decaduto non si riproporrà per motivi vari (perché in aree a rischio, perché la crisi ha falcidiato le imprese, perché alcuni proprietari e/o operatori avranno perso interesse, perché altri ancora già in occasione della formazione dei PSC hanno chiesto di ripristinare la destinazione agricola per non continuare a pagare l’Imu, perché l’offerta residenziale concepita in passato non trova più mercato, ecc.), ma le dimensioni e gli indizi che emergono dalla conoscenza di alcuni casi lasciano supporre un lavoro ad hoc per l’effettiva ‘cancellazione’ di queste previsioni.
Il 3% e gli indizi
Anche il punto relativo al 3% del TU mi sembra da sviscerare. Non esito a credere che la Città metropolitana di Bologna possa vantare comportamenti virtuosi per cui il Territorio Urbanizzato risultante dalle perimetrazione effettuate ha un’estensione minore di quella stimata per l’impostazione della legge e quindi abbassa la quota delle previsioni del consumo di suolo futuro basate sul 3% del Territorio Urbanizzato pre-esistente. Ma potrebbe essere un campione non del tutto significativo e comunque rimarca la rilevanza di questa delicata operazione. C’è poi da considerare quel che non viene compreso nel 3%, che resta fuori dal conteggio sul consumo di suolo e che proprio nei territori della via Emilia, di pianura e di costa, dove i dati sulla decadenza delle previsioni residenziali sembrano positivi, c’è un’economia per la quale opere pubbliche e ‘strategiche’ sono fondamentali e ampiamente consumatrici di suolo. E’ dunque importante l’allerta e il freno sulla logistica diffusa, ma dovrebbe svilupparsi la riflessione sui modi della crescita e della riconversione economica prossima futura, per cui il territorio è materia prima.